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Edizione provinciale di Torino


La Juve convince contro la Fiorentina, il Toro naufraga a Lecce

 

La Juventus si rimette in marcia con una delle più convincenti prestazioni stagionali fra miglioramenti tattici e furiose quanto inutili polemiche avversarie, mentre un Torino in caduta libera tocca il fondo del baratro nell'ennesima domenica dai due volti per il calcio sotto la Mole.

Pranzo corroborante in casa bianconera. Dopo la pessima figura di Napoli la squadra di Sarri ha affrontato l'ostica Fiorentina con determinazione e soprattutto concentrazione degne della caratura del proprio organico, mostrando nello sviluppo della manovra offensiva alcune varianti tattiche efficaci rispetto al recente passato, che potrebbero diventare il grimaldello per scardinare le blindate retroguardie avversarie anche in successive occasioni.

Di fronte ad una compagine viola molto accorta che faceva della densità difensiva il suo punto di forza per poi rilanciare l'azione, gli juventini hanno insistito meno sul fraseggio per vie centrali tentando invece di allargare il gioco sulle fasce laterali grazie anche allo schieramento nel tridente d'attacco, partendo da posizione molto defilata, di Cristiano Ronaldo e Douglas Costa. Utili anche il ricorso alle verticalizzazioni in profondità con lanci dalle retrovie a saltare il centrocampo gigliato e il tiro da fuori area, che prima ha chiamato Dragowski alla parata su conclusione di Bentancur, quindi ha causato il mani di Pezzella su botta di Pjanic sanzionato dal VAR con il primo rigore della doppietta dal dischetto del freddissimo bomber portoghese.

Sul fronte difensivo la Juve è riuscita a rimanere sufficientemente corta (merito anche del pressing alto e del filtro del reparto nevralgico in cui è tangibile la crescita di Rabiot e Bentancur), grintosa nelle chiusure (De Ligt su tutti, poi premiato anche dalla soddisfazione personale della rete che ha chiuso l'incontro), concendendo rare ripartenze ai viola, pericolosi in area in un'unica circostanza (deviazione di tacco di Chiesa) e solo con tiri dalla distanza su cui Szczesny ha fatto buona guardia.

Anche nel momento di maggiore pressione fiorentina ad inizio ripresa i bianconeri hanno tenuto il pericolo lontano dalla propria porta fatta eccezione per il tracciante di Benassi che ha lambito il palo, e con l'ingresso di Dybala hanno sfruttato ancora di più gli spazi concessi da un avversario sbilanciato nel tentativo riequilibrare il risultato. Per paradosso, pur avendo sempre in mano il controllo della gara e apparendo finalmente solidi pure in difesa, gli uomini di Sarri hanno creato poche nitide occasioni da rete (dopo l'intervallo il solo tocco di Higuain parato d'istinto da Dragowski) e hanno avuto bisogno di un nuovo tiro dal dischetto per archiviare la pratica.

L'episodio che ha mandato su tutte le furie l'ambiente viola, presidente Commisso in testa, rientra in realtà nella casistica del regolamento: il contatto c'è, il difensore si frappone col corpo e impedisce all'avversario di proseguire la corsa allargando il braccio all'altezza del suo volto. Non è uno scandalo se l'arbitro assegna il rigore (come è accaduto, anche dopo il consulto col VAR) giudicando l'azione fallosa e allo stesso modo non sarebbe stato uno scandalo se il direttore di gara avesse lasciato proseguire l'azione considerandola una normale dinamica di gioco non tale da determinare gli estremi della massima punizione.

Da escludere, sia dalla sensazione in diretta, sia dopo l'analisi delle immagini televisive, la simulazione invocata dal presidente fiorentino. Sta all'arbitro assumersi la responsabilità della decisione e agli addetti ai lavori non considerare sempre in malafede i fischi a proprio sfavore.La Juve si mette così alle spalle una partita velenosa secondo tradizione, della quale deve tenersi strette una rinnovata duttilità tattica, la solidità difensiva e la concentrazione ritrovate.

Non esistono invece quasi più parole per descrivere la situazione del Toro, malato in coma profondo che sarebbe augurabile desse presto segnali di risveglio per non rischiare di compromettere irreparabilmente una stagione che definire travagliata sarebbe un eufemismo. Dopo l'umiliazione casalinga con l'Atalanta i granata sembravano avere ritrovato un po' di orgoglio nel quarto di finale di Coppa Italia contro il Milan, disputato probabilmente senza eccessive pressioni, dove però sono stati traditi in vista del traguardo dal "braccino" e dal calo fisico, crollando poi nei supplementari.

A Lecce ci si aspettava che il cammino di risalita continuasse, invece la realtà si è rivelata peggiore di qualsiasi incubo. Una squadra senza capo né coda, allo sbando, assente in tutto e per tutto dal campo, sfuggita dalle mani del proprio allenatore, è stata triturata con due gol per tempo dai ritrovati salentini, che a differenza degli avversari, immobili sul mercato in entrata per scelta societaria dedita solo alle cessioni, hanno tratto vantaggio dai nuovi arrivi come testimonia il loro zampino presente in tutte le marcature.

L'avvilito tifoso torinista ha dovuto assistere ad un'altra galleria degli orrori, dall'inconsueta e anacronistica divisa azzurro Savoia agli strafalcioni difensivi in serie, dall'assenza di nerbo e idee nell'impostazione alla mancanza di attenzione nelle poche circostanze in cui gli uomini di Mazzarri si sono affacciati dalle parti del portiere pugliese (leggi il tocco in fuorigioco di De Silvestri che ha fatto annullare il gol che avrebbe riaperto la gara). Neanche questa volta sono bastate le sole parate di Sirigu e l'abnegazione di Belotti, sempre più predicatore nel deserto.

Così, in coda ad una notte buia e, neanche troppo metaforicamente, tempestosa, allo stadio di via del Mare si è completato il naufragio granata, certificato dall'impietoso conteggio di 17 reti incassate in quattro incontri fra campionato e Coppa Italia, a fronte di 3 soli centri e soprattutto di un atteggiamento agonistico e mentale da encefalogramma piatto. Scontata la mossa della disperazione dell'esonero di Mazzarri per dare una scossa e cercare di ricompattare la squadra, con il timone affidato sino a giugno al tecnico "enfant du pays" Moreno Longo. L'impresa a cui è chiamato il giovane allenatore è ardua, l'augurio è che i suoi trascorsi e la profonda conoscenza dell'ambiente lo aiutino a centrare l'obiettivo.

Fotografia: fonte Eurosport

 

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  Scritto da Luca Ceste il 03/02/2020
 

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