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Scarsi giocatori, poi grandi allenatori

Molti ex calciatori diventati opinionisti sostengono che chi non ha giocato ad alti livelli non è in grado di dare giudizi. Le carriere di Sacchi, Mourinho e Sarri dimostrano il contrario.
I primi calci di Arrigo Sacchi nelle giovanili del Baracca Lugo. Righetto però non riesce emulare il papà Augusto che ha giocato nella Spal, rivelandosi uno scarso difensore. A 19 anni lascia il calcio e la scuola a due mesi dalla fine di ragioneria. Per più di dieci anni lavora anche come rappresentante per le due aziende di scarpe dove è socio il padre, ma il calcio esercita una forte attrazione. A 33 anni, consenziente la moglie e suo padre, sceglie di fare l’allenatore. Si cimenta in questa nuova veste partendo dai dilettanti (“la mia vera università”) del Fusignano e ottiene il primo anno la promozione dalla Seconda alla Prima categoria. Dopo tre anni passa all’Alfonsine e percepisce il primo mensile (250mila lire). Nel 1977 è al Bellaria. Lascia le scarpe di papà e si iscrive al Supercorso di Coverciano diretto da Italo Allodi. Il tirocinio ricomincia dalla Primavera del Cesena dove nel 1982 conquista lo Scudetto. Poi guida il Rimini. Allodi lo porta alle giovanili della Fiorentina ma quando dà le dimissioni anche Arrigo rompe con la dirigenza. A Parma in C1 e in B supera l’esame di laurea a pieni voti nei match col Milan. Berlusconi si innamora del suo calcio e gli affida la squadra. Sacchi si consacra tra il 1987 e il 1991, vincendo 8 trofei (di cui 6 internazionali) e rivoluzionando il calcio italiano. A seguire è stato ct della Nazionale italiana, allenatore dell’Atletico Madrid, direttore tecnico del Real Madrid.
Josè Mourinho. Pure lui era un difensore di basso profilo. Ha militato nelle giovanili di Uniao Leiria e in quelle della Belenenses. Dal 1983 al 1985 ha giocato nel Sesimbra. Dal 1985 al 1987 nel Comercio e Industria di Setubal. A 24 anni preferisce optare per gli studi. Suo padre Felix come calciatore ebbe maggior successo: era portiere del Vitoria Setubal con una presenza in Nazionale. Da allenatore però non ha collezionato grandi risultati: una stagione nel Rio Ave e una nel Belenenses con assistente il figlio che aveva l’incarico di andare a studiare le squadre avversarie. Josè si laurea all’Instituto Superior de Educacao Fisica e per cinque anni esercita come professore di educazione fisica. Fa gavetta nelle giovanili del Vitoria Setubal e dell’Estrela Amadora, è assistente di Bobby Robson al Porto. Poi è secondo di Robson e di Van Gaal al Barcellona, dove allena la squadra B. La sua escalation inizia quando diventa allenatore del Porto col quale vince una Champions League e una Coppa Uefa. Il resto (Chelsea, Inter, Real Madrid ancora Chelsea) è storia recente.
Maurizio Sarri, nato a Napoli nel 1959, ha un percorso articolato. Suo padre era operaio gruista in una ditta che costruiva l’Italsider di Bagnoli. La mamma lavorava nella camiceria. Una famiglia di lavoratori che poi torna in Toscana a Figline, paese d’origine. Sarri a 14 anni inizia a giocare nel Figline senza ottenere grandi risultati. Un centromediano rude e tecnicamente modesto. E’ arrivato in Serie D. Ha smesso a 25 anni per problemi al ginocchio. Studiava Economia, poi Statistica, e lavorava in banca. Per rilassarsi allenava le squadre del posto. Nel 1990-91 inizia dalla Seconda categoria. Nel 2001 lascia la banca e incomincia una lunga trafila. Il salto di qualità arriva nell’Empoli che guida in Serie A. A Napoli, dopo un avvio stentato, è bravo a trovare l’assetto migliore. Ha detto: «Non necessariamente essere stato un calciatore in A significa essere più bravo di chi viene dalla provincia. Il calcio richiede analisi, pensiero, riflessioni. Chi viene dal basso è mentalmente più libero. Un allenatore deve saper essere fratello, amico e padre». Ha vinto il premio Scopigno quale migliore allenatore della stagione 2014-15. Un ex rappresentante di scarpe (Sacchi), un ex dirigente di banca (Sarri), un ex insegnante di educazione fisica (Mourinho) sono entrati nell’élite degli allenatori più bravi pur avendo un passato da calciatori modesto. Come dice Aristotele: «Per essere un buon fantino non bisogna essere stati un cavallo».

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  Scritto da Tiziano Crudeli il 09/12/2015
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