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Edizione provinciale di Torino


Benedetto Pasqua: una vita sui campi da calcio tra campo e panchina

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Una vita passata nel calcio prima come giocatore, poi come allenatore, osservatore e istruttore dei bambini della Scuola Calcio. E' il ritratto di Benedetto Pasqua, torinese ed ex attaccante classe 1947 cresciuto nelle giovanili della Juventus, che raggiunse il punto più alto della sua carriera con l'esperienza all'Olbia in serie C nella stagione 1968-1969. Nell'esperienza sarda uno dei suoi compagni di squadra era il compianto Moriano Tampucci che diventò poi il terzo portiere del Cagliari che si laureò campione d'Italia nel 1970.

 

Com'è iniziata la sua carriera di calciatore?

«Iniziai a giocare a calcio all'età di 4-5 anni all'oratorio del Lingotto prima di passare alla Juventus quando avevo 11 anni. La società bianconera, insieme a dei compagni di squadra, mi girò successivamente alla Castor. Società storica di Torino con cui approdai alla finale nazionale della categoria Allievi perdendola ai calci di rigore. La dirigenza mi confermò anche per la prima squadra che all'epoca disputava il campionato di serie D. In quella stagione la squadra occupò a lungo la seconda e la terza posizione in un campionato 1967-1968 vinto dalla Pro Vercelli che poi fu penalizzata di quattro punti per illecito sportivo. Arrivò poi la possibilità di giocare in serie C con l'Olbia».

 

Quali sono i suoi ricordi più belli?

«In Sardegna mi trovai benissimo. Ma avevo 19-20 anni ed ero lontano da casa. Con il senno di poi mi sarei fermato lì per tanti anni e magari anche fino a fine carriera. Giocavamo su un campo in terra battuta e affrontarci era difficile per tutti. In quel campionato incontrammo tante squadre blasonate come l'Arezzo, la Pistoiese, il Forlì e l'Ascoli allenato da Carlo Mazzone ma riuscimmo a centrare l'obiettivo della salvezza. Dopo quel campionato mi richiesero tante squadre di serie C: il Lecce, la Maceratese e la Viterbese. Approdai quindi all'Omegna in serie D e quel campionato mi permise di attirare le attenzioni di una squadra blasonata di serie C come il Novara che aveva come centravanti un certo Gigi Gabetto. Le due società, però, non trovarono l'accordo e la trattativa sfumò. Venni poi assunto dal Banco di Roma, che in quegli anni aveva anche una squadra di calcio che disputava la serie C.

 

Passai quindi al Pinerolo con cui disputai tre campionati. Successivamente mi chiamò il Cuneo che militava in Promozione, ossia l'attuale Eccellenza, che voleva costruire una squadra ambiziosa per salire in serie D. L'allenatore Mario Pinacci mi comunicò di non essere intenzionato a farmi giocare più di punta e mi indietreggiò come trequartista. All'inizio ero scettico ma poi feci una grande stagione e vincemmo quel campionato. Arrivarono quindi le esperienze al Castellamonte ed al Bra nel momento in cui fallì la società. Approdai quindi in Prima Categoria all'Orbassano del presidente Bruno Bonacina che aveva preso dei giocatori del calibro di Rosario Di Lernia e Gerardo Bochicchio.

 

Ci allenavamo alla Sisport, nel campo a fianco del Torino di Gigi Radice negli anni immediatamente successivi allo scudetto granata del 1976. Almeno una volta in mese chiedeva al nostro allenatore Mario Pinacci di giocare un'amichevole e ricordo ancora le sfide contro la squadra di Terraneo, Patrizio Sala e Claudio Sala. Indimenticabili erano anche i tornei notturni, in particolare quello di Chieri che iniziò all'oratorio San Luigi per poi spostarsi al “Comunale”. Ricordo che nella stessa sera disputai sia la finale per il terzo posto a Chieri e la finalissima di un altro torneo importante di allora come il “Palio dei Borghi” di Torino.

 

Giocai quindi nel Moncalieri di Giancarlo Bellagamba che centrò il salto in Promozione, che allora era la massima categoria regionale. Giocai poi ancora a Sommariva Perno, quindi feci due anni alla Santenese per poi chiudere la carriera alla Poirinese dove il secondo anno diventai allenatore-giocatore. Iniziò così la mia carriera in panchina. Poi allenai la Juniores dell'Orbassano ed il Rivoli. Seguirono quindi le esperienze al Moncalieri, al Chieri, all'Alpignano ed all'Asti. Tuttora mi diverto ad allenare i bambini in età di Scuola Calcio al parco Ruffini e prima dell'inizio della pandemia ero collaboratore tecnico di Claudio Frasca, selezionatore della Rappresentativa regionale Under 17.

 

Il Chieri, insieme al Moncalieri, è la società alla quale sono stato più legato. In quegli anni c'era un gruppo unito ed i giocatori erano come fratelli tra di loro. La loro forza era che erano amici anche fuori dal campo. Al giovedì mi invitavano sempre a mangiare insieme a loro. Ho voluto bene a tutti e l'unica pecca è stata quella di non aver selezionato Fiorito. Una scelta che se tornassi indietro sicuramente non rifarei. Custodisco ancora gelosamente una t-shirt firmata da tutti i giocatori del Chieri della stagione 1993-1994»

 

Qual è stato il suo ruolo nel passaggio di Messias, ora al Crotone in A, dal Casale al Chieri?

«Sono amico di Vincenzo Manzo e quando era allenatore del Chieri mi mandava a vedere le squadre avversarie o a vedere dei giocatori e poi gli facevo la relazione. Una volta mi mandò a vedere un giocatore a Gassino ed è lì che mi parlarono di Messias che giocava al Casale in Eccellenza. Lo andai poi a vedere a Pedona, nella penultima partita di quel campionato. Nel primo tempo non mi impressionò. Nella ripresa, invece, fu devastante e fece dei gesti tecnici che avevo visto fare solo a Baggio e Del Piero. Convinsi poi Manzo a portarlo a Chieri».

 

Come può ripartire il calcio dilettantistico dopo questo brusco stop a causa della pandemia causata dal Covid-19?

«In questo momento ci rimettono soprattutto i bambini che non possono giocare e divertirsi. Una volta passato questo periodo di emergenza, la Federazione dovrà trovare la formula giusta per far ripartire i campionati. Impensabile è fare giocare troppe partite ai dilettanti la sera. E' inoltre a rischio il futuro di molte società».

 

 

 

 

 

 

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  Scritto da Corrado Cagliero il 18/11/2020
 

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