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Allenamento mentale: il caso diabete e sport

 

Negli ultimi anni le prestazioni degli atleti e le tecnologie impiegate nelle varie discipline sportive hanno conosciuto una forte evoluzione. Di pari passo è cresciuta anche l’attenzione di allenatori e atleti rispetto alla preparazione mentale da svolgere con uno psicologo dello sport inserito nel programma d’allenamento, che oggi non può essere più solo fisico, tattico e tecnico. 

Quando si sente parlare degli aspetti psicologici e della preparazione mentale nello sport, il primo pensiero va alle persone con disagio. In realtà un programma di preparazione mentale si può rivelare utile anche a tutti gli atleti per ottimizzare la preparazione e il rendimento sportivo. Motivazione, fiducia, concentrazione, emozioni ed “arousal”, sono tra i fattori psicologici più rilevanti che condizionano la performance atletica. 

Conoscere le proprie reazioni prima di una gara, durante l’allenamento, quando l’allenatore incoraggia o critica, nei momenti decisivi di una partita, favorisce lo sviluppo di quei comportamenti che incrementano la prestazione e blocca quelli che l’ostacolano.

Oggi posso parlare di questi argomenti, in quanto ho un'esperienza diretta come atleta che da oltre venti anni ha a che fare con una malattia “invisibile” chiamata diabete e come coach professionista da oltre dieci anni. Prima di entrare nel merito dei vantaggi della preparazione mentale, vi racconto in breve la mia storia sportiva prima e dopo l'esordio della malattia quando avevo 24 anni.

Lo sport, in particolare il calcio, hanno segnato diversi momenti della mia vita e della mia crescita. L'ho sempre praticato a livello dilettantistico, con qualche picco verso i 16/17 anni. Il calcio mi ha dato la possibilità di affrontare un mio limite: la timidezza.

Sono partito giocando in porta, solo perché era il ruolo che nessuno voleva fare eppure se ci pensate è un ruolo determinante per una squadra di calcio, l'ultimo baluardo della squadra...Questo pensiero mi ha sempre riempito di responsabilità e paura. Ricordo un episodio che per me ha segnato un passaggio ed una consapevolezza...era un pomeriggio assolato e caldo sul campo di cemento dell'oratorio dei Salesiani di Torino, giocavo con i “grandi” ragazzi di 17-18 anni, io ne avevo 13 circa, Franco un ragazzo molto quotato e con un tiro molto potente, sta per tirare un calcio di rigore. Sento una grande responsabilità sulle spalle, tremavo dalla paura, avevo gli occhi dei miei compagni puntati addosso, sentivo mormorare qualcuno: “E' già sicuro il goal, quel piccoletto non può farcela”...Volevo mostrare a me stesso e a tutti che potevo farcela...Ecco parte la sua rincorsa, Franco è sicuro, carica il tiro, vedo la palla andare alla mia sinistra è molto potente ed angolata...mi lancio sull'asfalto come se fosse un campo di erba inglese, la mia mano è aperta al massimo per poter arrivare sulla palla.

Sento la mia mano ed il mio polso che si piegano e sento un dolore sordo al momento dell'impatto con la palla...chiudo gli occhi, mi sembra un tempo interminabile...ad un certo punto sento delle urla attorno a me, erano quelle dei miei compagni che esultavano ero riuscito a parare e deviare la palla in calcio d'angolo. Ricordo solo il forte dolore al polso, l'acqua ed il ghiaccio...scoprirò solo dopo in Ospedale che avevo rotto il polso, 30gg di gesso e mia madre che mi rimproverava!!!

Da quel momento in poi, ogni volta che entravo in oratorio, lo sguardo dei ragazzi era diverso, tutti volevano firmare il mio gesso, tutti mi dicevano che ero stato grande...da quel momento sentivo che qualcosa era cambiato. Ho affrontato tante partite e campionati, la mia carriera calcistica si è sviluppata nel ruolo di terzino destro, quel che all'epoca era il terzino “fluidificante”. Ho affrontato attaccanti di una stazza fisica imponente e con tecnica di valore, ragazzi che negli anni successivi hanno militato in serie C ed anche in serie A.

Nel mio ruolo di coach, voglio sottolineare quanto oggi sia importante conoscere i propri punti di forza e soprattutto l'importanza di sentirsi importante per la tua squadra. Purtroppo noi non ci scegliamo l'allenatore come non ci sceglievo gli insegnanti a scuola.

Oggi quanti atleti sono in grado di costruire e fissare degli obiettivi concreti per migliorare ed ottimizzare la propria performance atletica? Quanti di loro conoscono i livelli della loro prestazione oggi e sono in grado di capire da dove partono e organizzare l'allenamento anche a livello mentale per migliorare un gesto atletico, piuttosto che avere una coerenza tattica?

Dopo un grave infortunio, a livello fisico il preparatore atletico ed il medico spesso indicano allo staff tecnico ed al mister che l'atleta è pronto eppure in allenamento o in durante la partita il rendimento è basso, che fattori entrano in gioco?

Cosa succede a quegli atleti, come è capitato a me, cosa costretti a cambiare la propria vita, a causa di una malattia cronica?

Quello che ricordo all'esordio del diabete era la paura che il medico mi aveva messo addosso, scenari apocalittici, possibili svenimenti, perdita di lucidità ecc. Quindi sarebbe stato meglio lasciar perdere il calcio.

All'inizio vi dico la verità ho nascosto sia ai miei compagni che alla società il mio stato di salute, mi vergognavo...Comunque la paura di quelle parole e la poca conoscenza della malattia, mi avevano cambiato, ero molto timoroso e spesso la mia attenzione era “fuori dalla partita”, questo ha cambiato il mio atteggiamento in campo ed anche i miei compagni ed il mister iniziavano a perdere fiducia in me, la cosa peggiore è stata che anche io avevo perso fiducia nelle mie qualità.

Sapete quanti grandi campioni nel calcio sono diabetici? Un esempio è Nacho Fernandez del Real Madrid, Paul Scholes il campione del Manchester United, nel calcio ma poi ci sono tantissimi altri grandi campioni in vari sport. Fondamentale è il sapere di poter vivere i nostri allenamenti e la partita come qualsiasi altro compagno di squadra.

Quanti allenatori hanno le competenze per gestire un atleta con una disabilità? Cosa pensa un atleta con una disabilità all'interno del proprio team? Cosa differenzia un atleta disabile dagli altri?

Il coaching mi ha aiutato nel mio percorso come atleta e come uomo, sia a livello sportivo che personale. Il conoscere e lavorare sulle mie emozioni, mi è stato di grande aiuto nel continuare a giocare e divertirmi senza avere paure e gestendo bene la mia glicemia prima, durante e dopo la partita o l'allenamento.

Oggi mi piacerebbe poter mettere a disposizione la mia esperienza da coach e come sportivo diabetico a tutti quei ragazzi che pensano di avere qualcosa in meno degli altri o che magari rinunciano ai propri sogni a causa di questa malattia “invisibile”.

Il diabete come ogni malattia va conosciuta, solo chi la vive quotidianamente può sapere cosa significa, una cosa è sicura solo noi possiamo limitarci nel scegliere i nostri obiettivi, il diabete è solo un ostacolo e come tale può essere trasformato in opportunità, sta a noi e a quanto lavoriamo per questo, il coaching è uno strumento per l'atleta, per l'allenatore e per il team!

 

 

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  Scritto da Claudio Casale il 20/03/2021
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