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Campionati e Risultati: NAZIONALI REGIONALI PROVINCIALI GIOVANILI    

Edizione provinciale di Torino


La storia di Vittorio Staccione, calciatore morto in un lager nazista

Il centrocampista debuttò in serie A nel Torino e giocò nel Chieri

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Vittorio Staccione, chi era costui? Vittorio Staccione (il 7° da sinistra nell'immagine in evidenza), centrocampista e poi centromediano (Torino, 9 aprile 1904-Gusen, 16 marzo 1945), era nato in viale Madonna di Campagna 4 a Torino, in una piccola casa che non esiste più, distrutta dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale. Tifoso del Toro fin da bambino, iniziò a giocare per strada, prendendo a calci un pallone di stracci, col fratello minore Eugenio (1909-1967). Scoperto nei campetti della periferia da Enrico Bachmann, capitano del Toro, venne inserito nelle giovanili granata nel 1919.

Esordiva nel Torino, massima divisione nazionale, il 3 febbraio 1924, a Novara, contro l’Hellas Verona, al fianco del coetaneo Antonio Janni, noto asso di Santena, nel Toro dal 1918 al 1937. Nel campionato 1923-1924 fece registrare 2 presenze. L’obbligo di leva (chiamato a svolgere il servizio militare a Cremona) costringeva il Torino a mandarlo in prestito alla Cremonese. Qui giocava nella stagione 1924-1925: 18 presenze. Ma Cremona era la città di Roberto Farinacci, “ras” fascista e direttore del giornale cittadino. Staccione, di marcata fede socialista, era così inviso alle camicie nere da “sparire” dalle cronache: nei resoconti sportivi sul giornale “Cremona Nuova”, al posto del suo nome, era inserita una X, oppure il suo nome fu addirittura sostituito con quello di un altro giocatore.

Le positive prestazioni in maglia grigiorossa convinsero la società granata a farlo rientrare nelle file del Torino. Nella prima stagione di ritorno al Toro, campionato 1925-1926, collezionava 6 presenze. Nella stagione successiva, nel 1926-1927 (il Torino era campione d’Italia per la prima volta ma il titolo veniva revocato per il “Caso Allemandi”) divenne titolare fisso: 11 presenze su 28 partite in campionato ed una in Coppa Italia. Tuttavia non poteva partecipare alla partita di inaugurazione dello Stadio Filadelfia, il 17 ottobre 1926 contro la Fortitudo Roma, in quanto pochi giorni prima alcuni fascisti gli avevano rotto due costole: saltava la seconda parte del campionato, laureandosi comunque campione d’Italia.

Il 20 marzo 1927 giocava la sua ultima partita nel Toro, contro la Sampierdarenese, a Genova: nel contempo vi debuttava il fratello Eugenio come portiere. Nella stagione successiva Vittorio fu acquistato dalla Fiorentina del marchese Luigi Ridolfi Vay da Verrazzano: il cognome Vay non era casuale. Nelle quattro stagioni dal 1927 al 1931, collezionava ben 95 presenze nei viola, un record per quei tempi, divenendo un pilastro insostituibile del centrocampo gigliato e contribuendo in modo decisivo alla promozione, nel 1930-1931, alla nuova serie A. Nella permanenza a Firenze venne colpito da un gravissimo lutto famigliare: durante il parto morirono la giovanissima moglie Giulia Vannetti e la figlioletta neonata, Maria Luisa. Vittorio fu distrutto da questa tragedia. Pur essendo ancora un calciatore con prestazioni di alto livello, nel 1931 era ceduto al Cosenza in Prima Divisione (serie C).

Qui giocava per i tre successivi campionati trovando come allenatore un vecchio compagno di squadra del Torino: l’ungherese Balacics. Non solo: si imbatteva e fraternizzava con un chierese di alto profilo, Giuseppe “Giovanni” Vay, a sua volta attaccante classe 1909 già assurto ad onori ed oneri della serie A nel Torino e a vari titoli venturo personaggio storico del Chieri e di Chieri. Dopo un’ultima breve esperienza nel Savoia di Torre Annunziata, campionato di Prima Divisione 1934-1935, scendeva a Rossano Calabro in cerca di un lavoro. Qui veniva arrestato per l’ennesima volta. La sua biografia ufficiale narra che tornò a Torino nell’estate del 1936. Ormai respinto dal mondo del pallone, con l’aiuto dei fratelli (il maggiore era Francesco, classe 1894) divenne un operaio, alla FIAT e in altre fabbriche similari.

L’approccio al panorama calcistico di Chieri da parte del pronipote dello Staccione, Federico Molinario, che ha fatto propria un’informazione non approfondita avuta da Fabrizio Schmid di Trento, appassionato cultore di ricerche storiche e statistiche in materia, ha messo in moto i giornalisti Angelo Tosco e Corrado Cagliero.

Al centro dell’attenzione, una possibile “coda” nella carriera dello zio, dopo la militanza nel Savoia, avvenuta con la maglia del Chieri nella stagione 1935-1936. L’obiettivo era quello di andare fino in fondo alla questione, per avere la prova provata della sua militanza nella formazione maggiore, fin lì solo ventilata. Notizie generiche ma del tutto fondate asserivano in effetti che Vittorio Staccione fosse stato tesserato per l’Associazione Calcio Chieri: la società era stata ribattezzata dal 1934 “Nuovo A.C. Chieri. Il binomio Staccione-Vay già compagni di squadra al Cosenza, costituiva altresì una traccia che induceva a rendere ancor più credibile il “tesseramento” in oggetto: di nuovo sotto la stessa bandiera. La fonte originaria era contenuta in due libri sportivi noti agli addetti ai lavori: “Chieri-Sport 1900-1970” e “Metti undici uomini in campo”. La definitiva conferma dell’ipotesi è giunta di lì a poco, quando Vittorio lo si è trovato come centromediano (numero 5) in due formazioni del Chieri di Seconda Divisione regionale, al principio del 1936, sulle pagine de “L’Alfiere”, settimanale locale oggi scomparso.

Il che fa riscrivere definitivamente una parte fin qui oscura della sua storia. Staccione non rientrò infatti a Torino dalla Calabria nell’estate del 1936, ma era già in loco qualche mese prima. Non per caso a Rossano aveva quindi alterato di proposito la verità dichiarandosi giocatore del Cosenza per quattro campionati e non per tre. Al Chieri approdò dunque in prima squadra, da rincalzo di lusso proprio di Giuseppe Vay, ma giusto in tempo per vincere ancora con la promozione in Prima Divisione. Numero del 1° febbraio 1936, pagina 2: Chieri-Chivasso 2-2 e sua la prima rete in assoluto, su calcio di punizione; numero dell’8 febbraio 1936, pagina 3: Gutermann-Chieri 1-5 a Perosa Argentina, prima vittoria chierese.

Resta da chiedersi come riuscì ad assolvere ai compiti assegnatigli, visto che si trattava di un personaggio “sui generis” marcato stretto dal regime. E chissà che doveva escogitare per frequentare anche solo gli allenamenti. Qualcuno ne era senz’altro complice ed esercitava su di lui una sorte di “protezione”. Nel 1934, 28 ottobre, anniversario della “Marcia su Roma”, il podestà di Chieri aveva inaugurato in Viale Fiume, il nuovo “Campo Littorio”: ereditava i fasti del “Campo Fasano” inventato a Porta Torino dall’omonimo sindaco Francesco su un suo terreno attiguo all’abitazione e la polvere gloriosa dell’ulteriore precedente “Gioco del Pallone”, il Piazzale San Francesco attuale Piazza Dante. Staccione calcò dunque, da ostinato socialista in incognito, anche le zolle di quel nuovo manto erboso voluto dal regime. Aveva collezionato nel suo “curriculum vitae” una fedina penale da vittima predestinata. Dal 1937 il Chieri sarebbe diventato GIL (Gioventù Italiana Littorio) e tale restava fino alla caduta di Mussolini. Intanto il nostro era effettivamente tornato a casa, non più coinvolto nel dare calci vivendo di pane e pallone, ma sempre più incline a prenderli, i calci, poiché frequentava con cocciutaggine le officine e le catene di montaggio.

Fin da giovanissimo, alla passione per il calcio, Vittorio Staccione aveva unito quella per la militanza politica, condotta dalla parte degli operai e degli sfruttati. Non era un ingenuo ma probabilmente solo un uomo del suo tempo con la U maiuscola: se Diogene cercasse oggi uno così, dovrebbe fare come minimo una scorta illimitata di lanterne. Fu la sua una scelta di vita che, in un periodo in cui la prepotenza del regime fascista non ammetteva opposizione, doveva pagare carissima. “Mio zio - ha dichiarato Federico Molinario - era una persona buona, riservata, dava poca confidenza. Fin da ragazzino aveva iniziato a frequentare i circoli socialisti torinesi, per quello fu sempre inviso al fascismo. Spesso veniva aggredito dagli squadristi: se tentava di difendersi veniva arrestato, con l’accusa di resistenza. Ma non era un violento”. Considerato un pericoloso sovversivo, era spesso arrestato dall’OVRA, la Polizia segreta. Dopo lo scoppio della guerra era sempre più spesso tenuto sotto controllo: arrestato, schedato, fotosegnalato. A condannarlo fu la sua partecipazione all’organizzazione degli scioperi del 1º marzo 1944 nelle fabbriche di Torino. Il 12 marzo venne arrestato dalla Polizia di Madonna di Campagna, che lo consegnava alle SS. Pochi giorni prima era stato arrestato il fratello Francesco. “Il commissario di polizia cercò di salvarlo - racconta Molinario -. Gli spiegò che doveva andare a lavorare in Germania, dove faceva molto freddo e gli disse di andare a casa e mettere in valigia abiti pesanti: gli stava offrendo la possibilità di fuggire, ma lui non lo fece. Tornò, con la valigia, consegnandosi ai Tedeschi. Qualche giorno dopo fu caricato su un treno destinazione Mauthausen”.

Deportato il 16 marzo 1944, sul convoglio ferroviario n. 34. Giunse a Mauthausen il 20 marzo e gli venne assegnato il numero di matricola 59160, categoria “prigionieri politici”, con il “triangolo rosso” sul petto. I sopravvissuti di Mauthausen raccontavano che ogni tanto riusciva a incontrare Francesco, anche lui lì deportato. I due erano entrambi adibiti al trasporto di grossi blocchi di granito estratti da una vicina cava. In prigionia Vittorio conosceva Ferdinando Valletti, mediano del Milan e Carlo Castellani attaccante dell’Empoli, stadio attuale a lui intitolato. Per il loro passato Staccione e Valletti erano reclutati dalle SS per una partita di calcio. Alcuni sopravvissuti ebbero a raccontare di quando le SS, non avendo abbastanza calciatori in campo, chiamavano a giocare i prigionieri. Proprio l’immagine di Vittorio Staccione, ridotto a pelle e ossa, che entra in campo per l’ultima volta, con la casacca a righe da detenuto, ha aperto il libro “Il mediano di Mauthausen” del giornalista Francesco Veltri. Vittorio venne poi trasferito a Gusen, uno dei 49 sottocampi di Mauthausen, ora in Alta Austria. Uno dei tanti pestaggi patiti dalle guardie del campo gli procurò una profonda ferita alla gamba. Privato delle cure necessarie, moriva di setticemia e gangrena il 16 marzo 1945. Suo fratello Francesco lo seguì, morendo di stenti, nove giorni dopo, il 25 marzo.

Vittorio Staccione è tornato agli onori delle cronache in occasione del recente “Giorno della Memoria”. Ma nel corso degli anni aveva già ricevuto i dovuti riconoscimenti, a Firenze, Cremona e Cosenza. In sua memoria, il 16 giugno 2015, all’interno dello stadio “Giovanni Zini” di Cremona, gli era stata dedicata una lapide in marmo, come simbolo di tutti quegli atleti che, nel corso della Seconda Guerra Mondiale, avevano pagato con la vita l’opposizione al regime nazifascista. Ironia del destino, era perito tra gli altri nei campi di prigionia tedeschi un altro giocatore del magmatico Chieri di quei tempi: faceva parte dell’organico GIL, nel biennio 1938-1939, Nicola Gay, zio del già sindaco di Chieri, Agostino Gay. Ancora per Vittorio. Il 22 gennaio 2019 è stata posta in via San Donato 27, a Torino (dove abitava al momento della deportazione), una pietra d’inciampo a lui dedicata, a perenne ricordo del suo sacrificio in nome della libertà. Nel 2020 una pietra d’inciampo è stata posizionata anche in via Pianezza 10, dove abitò il fratello Francesco. Sempre nel 2020 l’Anpi della provincia di Cosenza ha premiato Francesco Veltri per aver ricordato la figura di Vittorio Staccione nel libro “Il mediano di Mauthausen”. Il 25 aprile del 2022 è stata posta una targa a memoria di Vittorio Staccione nel “Parco Morrone” di Cosenza, nel luogo in cui sorgeva lo stadio “Città di Cosenza”, in cui giocò, avendo Giuseppe Vay forse non solo come compagno di formazione, dal 1931 al 1934. Lo stadio era stato inaugurato ovviamente il 28 ottobre, anno 1931, con l’amichevole Cosenza-Napoli, finita 2-1. Ora Staccione fa anche parte a pieno titolo del “Gotha” calcistico di Chieri.

 BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA

= L’AGENDINA DEL CALCIO, stagioni 1936-1937 e 1937-1938 (Archivio Angelo Tosco).

= L’ALFIERE, settimanale di Chieri, numeri dal 1935 al 1936 (I GIORNALI DEL PIEMONTE-REGIONE PIEMONTE, on-line).

= L’ARCO, settimanale di Chieri, numeri dal 1935 al 1936 (I GIORNALI DEL PIEMONTE-REGIONE PIEMONTE, on-line).

= IL CHIERESE, settimanale di Chieri, 9 febbraio 1957 (I GIORNALI DEL PIEMONTE-REGIONE PIEMONTE, on-line). In prima pagina c’è inoltre un interessante resoconto sul rientro dall’Argentina del celebre concittadino Onesto Silano, già ala mancina del Torino, per trascorrere nella “sua” Chieri con la moglie e due figli un periodo di riposo lungo 6 mesi. Trova una definitiva spiegazione l’impiego da parte del Chieri, poi campione regionale di Prima Divisione, di un’inedita divisa bianca con una banda verticale azzurra, secondo il più classico costume alla sudamericana: il particolare gioco di maglie lo aveva omaggiato “Nestu” portandolo nella valigia dei sogni nel viaggio di ritorno che aveva compiuto con la famiglia attraversando l’Atlantico.

= CHIERI-SPORT 1900-1970 (Valerio Maggio e Piero De Paoli). Chieri, Tipografia E. Bigliardi & C., 1973. Pagina 178. = Francesco Veltri: IL MEDIANO DI MATHAUSEN. Storie, Diarkos Editore, luglio 2019. Prefazione di Eraldo Pecci.

= Valerio Maggio con il contributo di Corrado Cagliero, Gianni Giacone e Angelo Tosco: METTI UNDICI UOMINI IN CAMPO, 1905-2005, UN SECOLO DI CALCIO A CHIERI. Chieri, Studio Gaidano&Matta–Preart-Cartotecnica Chierese, 2005. Pagina 35.

= IL NOBILE CALCIO. = RENDE, ISTITUTO CALABRESE PER LA STORIA DELL’ANTIFASCISMO E DELL’ITALIA CONTEMPORANEA. Su Vittorio Staccione.

= WIKIPEDIA, l’Enciclopedia libera (Staccione Vittorio).

 

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  Scritto da redazione_piemonte il 08/02/2023
 

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