Turno di campionato da dimenticare per Juve e Toro in attesa del derby
Se l'incredibile rimonta granata in puro stile tremendista nel recupero infrasettimanale contro il Sassuolo aveva fatto apparire un raggio di sole, il primo giorno di primavera ha fatto ripiombare in pieno inverno il calcio sotto la Mole. Nella trasferta ai piedi della Lanterna (versante Sampdoria) il Toro ha fatto il passo del gambero e, complici i risultati delle concorrenti, continua a rimanere impelagato nelle acque torbide della lotta per la salvezza. Clamoroso invece il tonfo interno della Juve di fronte alla matricola Benevento, al termine di una prestazione indecorosa, specchio di una stagione che sta riportando la società bianconera indietro di una decina di anni, ai tempi bui dei due settimi posti consecutivi in campionato.
Rinfrancata nella classifica e soprattutto nel morale dall'impresa compiuta a spese dei neroverdi emiliani, la squadra di Nicola cercava a Genova continuità e serenità, ma suo malgrado ha dovuto cedere il passo alla più concreta compagine di Ranieri. Gara spigolosa, accesa e molto fisica, in cui il tecnico torinista si affidava all'ormai collaudato 3-5-2, con Izzo, Lyanco e Bremer davanti a Sirigu; Vojvoda e Ansaldi sugli esterni; Mandragora in regìa a centrocampo affiancato da Rincon e Gojak, mentre il peso dell'attacco gravava sulle spalle di Belotti e Sanabria.
Nella prima frazione erano i blucerchiati a farsi preferire, sino a sbloccare il risultato con Candreva, centrando in seguito il palo con Quagliarella (in entrambe le circostanze rivedibile l'assetto difensivo torinista), mentre il Toro faticava ad affacciarsi con pericolosità dalle parti di Audero.
Dopo l'intervallo il tema tattico dell'incontro era fin troppo scontato, con il Toro generosamente in avanti alla ricerca di un pareggio che avrebbe tutto sommato anche meritato e i liguri a difendere il prezioso vantaggio facendo leva sulle giocate di rimessa per alleggerire la pressione avversaria.
La sola determinazione non bastava però agli uomini di Nicola, apparsi meno lucidi rispetto alle recenti uscite e costretti a pagare dazio alla fatica dopo gli sforzi del mercoledì precedente. Eccessiva la difficoltà ad arrivare al tiro (l'occasione più nitida era un colpo di testa di Belotti terminato di poco a lato), con la fluidità dell'approccio all'area avversaria e l'inventiva che non miglioravano anche dopo gli innesti di Bonazzoli, Murru, Singo, Zaza e Verdi. Il muro doriano reggeva così senza particolari patemi e Keita sfiorava il raddoppio in contropiede legittimando il successo dei padroni di casa. Per il Torino prove d'appello e cammino verso la salvezza da completare dopo la sosta per le Nazionali. In contemporanea, all'Allianz Stadium andava in scena lo storico capitombolo della Vecchia Signora, che vedeva la Strega per tutta la partita, veniva costretta dalla sfrontata truppa di Pippo Inzaghi a passare sotto le forche caudine e al triplice fischio del signor Abisso, sprofondava nel baratro.
Giornata storta dall'inizio alla fine, a partire dalla divisa blu da trasferta indossata tra le mura amiche in ossequio al marketing, passando per gli incredibili errori di mira e di esecuzione, sino al rigore inspiegabilmente non concesso dopo lo scivolone di Foulon che faceva ruzzolare a terra Chiesa.
Inguardabile prova di squadra della Juve. In una giornata in cui avrebbero dovuto azzannare la partita con ritmo e ferocia agonistica per cercare di far sentire il fiato sul collo all'Inter capolista bloccata da Covid e dalle decisioni delle Asl (che ormai determinano il calendario del campionato), i bianconeri sono inspiegabilmenti apparsi per l'ennesima volta in stagione apatici, presuntuosi, senza ritmo né idee, lenti e privi di quella "fame" di successo che dovrebbe contraddistinguere una squadra di rango e i suoi interpreti. Il Benevento, schierato con un 3-5-2 coperto, attento, aggressivo il giusto e sempre pronto a ripartire sfilacciando gli avversari inutilmente imbottigliati nel vano tentativo di trovare qualche varco, aveva gioco facile a congelare il nulla di fatto, favorito anche dalle polveri bagnate e dalla mira sbilenca degli avversari.
In avvio di seconda frazione la Juve alzava leggermente i ritmi, ma i guizzi in grado di creare superiorità numerica restavano una chimera e le parate di un Montipò in giornata di grazia facevano il resto. Dopo un'ora di gioco arrivava in maniera grottesca la ciliegina sulla torta del disastro juventino, con l'assurdo passaggio in orizzontale in area verso il nulla di Arthur (vietato, come insegnavano i vecchi maestri di calcio, fin dai Pulcini) che regalava un quarto d'ora di celebrità all'argentino-teutonico Gaich (la sua esultanza e lo sconforto juventino nella foto di Virgilio Sport), agevolato anche dalla distrazione e dall'immobilismo dei difensori bianconeri.
Disperata, nervosa e senza lucidità la successiva reazione di Madama, le cui bocche da fuoco, comprese quelle giunte in soccorso dalle retrovie, avevano le polveri bagnate riuscendo a sprecare anche le poche occasioni create. Al fischio finale l'incredibile diventava realtà e i sanniti conquistavano un successo che resterà negli annali. La Juve era invece costretta ad un bagno di umiltà. Il cantiere aperto è molto lontanto dall'essere concluso, troppi giocatori sono inadeguati (per per scarsa personalità ed evidenti lacune tecniche) a vestire la maglia che indossano, la vecchia guardia ha fatto il suo tempo, i giovani sono ancora acerbi, la "rabbia" e la concentrazione agonistica sempre più rare a trovarsi, mentre la presunzione che i risultati possano arrivare solo perché si stia giocando con la maglia bianconera è purtroppo sempre presente.
Su questo quadro poco confortante si innestano anche l'inesperienza dell'allenatore (sia per quanto riguarda le scelte tattiche, sia per la collocazione nei ruoli dei giocatori), la sua capacità di motivare e far rendere al meglio la squadra che sinora ha lasciato molto a desiderare e una linea societaria che fatica a trovare la rotta. Andando avanti di questo passo il rischio di uscire dalla zona Champions potrebbe farsi concreto e lo spettro degli anni dei settimi posti comincia ad aleggiare in maniera inquietante.
Juve e Toro, grazie alla sosta per le Nazionali, avranno ora due settimane per leccarsi le ferite. Alla ripresa del campionato, il sabato di Pasqua andrà in scena un drammatico derby da ultima spiaggia, che sancirà chi potrà risorgere e chi invece troverà nell'uovo l'ennesima, amara sorpresa stagionale.