Il Toro si esalta con la Samp, fatal Verona per la Juve

Avvilente Juve, esaltante Toro. È tranciante la sentenza emessa dagli anticipi del sabato dell'undicesima giornata di serie A, al termine della quale i bianconeri hanno forse toccato il punto più basso dell'ultimo decennio, mentre i granata si illuminano finalmente di luce fulgida che si spera rimanga a lungo tale senza trasformarsi nell'ennesimo miraggio.
La settimana da incubo della Vecchia Signora culmina al Bentegodi di Verona (sempre più fatale) in una sorta di Halloween anticipata in cui è il "solito" Cholito Simeone a giocare due scherzetti pesanti in meno di un quarto d'ora che mettono definitivamente a nudo tutte le magagne di Madama.
Pressing asfissiante, ritmi sostenuti, ferocia agonistica in ogni contrasto e su ogni pallone, addirittura marcature preventive a uomo e cinica concretezza in fase conclusiva da parte dei gialloblù mandano presto al tappeto una squadra di Allegri apparsa ancora una volta presuntuosa, svagata, priva di mordente, senza gioco e incapace di proporre la benché minima trama offensiva, fatta eccezione per gli spunti da predicatore nel deserto di Dybala e per qulache sponda di Morata, isolato e costretto suo malgrado a fare il boia, l'impiccato e la corda in attacco.
Il nulla juventino di una compagine senza capo né coda prosegue fino a dieci minuti dal termine, quando la sassata di McKennie, puledro grezzo quanto efficace negli inserimenti, riapre teoricamente la partita, ma questa volta gli episodi (leggi traversa al tramonto del primo tempo e gran parata di Montipò nel finale su un Dybala che manca pur sempre di "cattiveria" in fase conclusiva) negano un pareggio che sarebbe comunque servito solo a rendere meno amara la classifica.
Una prestazione e una situazione di cui "vergognarsi", per citare le parole di Allegri nel dopo gara, e un fallimento conclamato che hanno radici lontane e paternità plurime. In primo luogo la presunzione della dirigenza che, abbagliata dall'aver raggiunto due finali di Champions League, ha pensato che sarebbe bastato innestare uno dei due migliori calciatori al mondo su un telaio ritenuto erroneamente molto competitivo, per primeggiare ovunque. Aver congedato sbrigativamente chi si opponeva al progetto (Marotta) proponendo invece di investire le stesse cifre per un rinnovamento e chi (Allegri) con lungimiranza reclamava dalla panchina lo stesso rinnovamento, costituiscono un'aggravante.
La ciliegina Ronaldo, sul cui rendimento in campo non c'è nulla da eccepire, invece di esaltare la qualità della torta ha finito solo per mascherare le lacune dell'organico, rendendolo dipendente dai suoi gol. Nel corso degli anni per mantenere la stella si è finito per impoverire progressivamente il tasso tecnico della squadra, complici i marchiani errori di valutazione commessi dai nuovi dirigenti saliti sulla tolda di comando, che hanno inanellato, spesso con la politica dei "parametri zero", una serie di acquisti sopravvalutati, remunerati con contratti lunghi e pesanti e dal rendimento mai all'altezza.
La girandola di allenatori di queste tre stagioni, passata in maniera disinvolta attraverso filosofie di gioco diametralmente opposte salvo tornare all'originale risultatismo speculativo di "corto muso", è un altro segnale lampante della bussola persa da parte della società.
Allegri, che dal canto suo sta cominciando a mostrare la corda nella lettura delle partite, suo marchio di fabbrica del passato, si è così trovato a dovere fare le nozze con i fichi secchi di una rosa mal assortita (specie a centrocampo, dove nessun elemento si è rivelato all'altezza), di qualità in generale mediocre ed in cui la vecchia guardia, ormai logora, sazia e svuotata, non riesce più a trasmettere mentalità vincente e stimoli ai nuovi arrivati, troppo spesso adagiati sulla convinzione che basti vestire la maglia della Juventus per ottenere risultati invece di impegnarsi con umiltà per dare il massimo contro qualsiasi avversario.
Il ritiro "punitivo" di una settimana (misura spesso adottata dalle squadre in lotta per non retrocedere) ha le sembianze di una mossa della disperazione. Le prossime partite con Zenit e Fiorentina sveleranno se il malato bianconero sarà ancora in coma profondo o avrà cominciato a dare qualche segnale di risveglio.
Gioisce invece la sponda granata del Po calcistico. Dopo anni di delusioni e di gioie da ricercare col lanternino, i tifosi possono stropicciarsi gli occhi quasi increduli potendo finalmente ammirare una squadra con un'identità ben precisa, dotata di un gioco a tratti anche spettacolare, avviata alla maturità e con crescente consapevolezza nei propri mezzi, come ha testimoniato la trionfale gara contro la Sampdoria, senza dubbio la miglior partita della squadra di Juric in quest'inizio di stagione.
Nella circostanza il Toro, sempre più determinato e concentrato, ha disposto a piacimento degli avversari dopo avere presto sbloccato il risultato con un'azione da manuale tutta rapidità e triangolazioni finalizzata da Praet. Sicuri Djidji, Bremer e Buongiorno in difesa, inarrestabili Singo e Aina sulle fasce, lucidi e dinamici Pobega e Lukic nel settore nevralgico, incisivi Linetty e Praet (il suo gol che ha sbloccato il match nell'immagine di www.torinofc.it) a ridosso di Sanabria, i granata hanno alternato con personalità pressione "tremendista" a devastanti contropiedi come nell'occasione del raddoppio di Singo.
Unico momento di relativa difficoltà l'avvio di ripresa, quando i blucerchiati hanno tentato, benché timidamente, di affacciarsi dalle parti di Milinkovic-Savic. La superiorità numerica data dall'ingenua espulsione per proteste di Adrien Silva ha agevolato ulteriormente il compito della banda di Juric, in cui è tornato grande protagonista capitan Belotti con palo in mischia, assist per il gol di Verdi annullato per fuorigioco e finale in gloria in pieno recupero grazie alla centesima rete in serie A.
La serata da incorniciare si è chiusa con i granata di nuovo ad esultare sotto la Maratona in un ideale abbraccio con i tifosi, miglior viatico possibile in vista della trasferta di sabato pomeriggio a La Spezia, ghiotta occasione per salire un altro gradino nella scala della crescita e "vendicare" la figuraccia della scorsa stagione.
